
«Con le cure è cambiato tutto! Bisogna raccontarlo, bisogna evitare che altri bambini restino senza diagnosi, costretti a vivere nell’ombra, isolati». Sono le parole pronunciate con gioia e gratitudine da Getrude, mamma di Yvus, 8 anni, HIV+ e malato di epilessia. È il frutto di questi anni di formazione e lavoro condiviso sul campo col personale locale africano, oggi in grado di interpretare le complesse manifestazioni dell’epilessia e presentarle correttamente agli specialisti che aiutano da remoto. Cosi, uno specialista dall’Italia ha potuto diagnosticare a Yvus una forma di epilessia attraverso un teleconsulto, e il bambino ha iniziato con successo le terapie e ripreso la scuola. Una delle tante belle storie del progetto “Fondazione Mariani – DREAM”.
Si è da poco conclusa in Mozambico una missione del nostro Programma di formazione sull’epilessia in partnership con DREAM Sant’Egidio, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta e Società Italiana di Neurologia. In un ampio report il coordinatore scientifico dr. Massimo Leone ha raccolto tante storie di speranza e, tra queste, quella di Getrude, la prima mamma “attivista” del progetto che vuole iniziare una campagna di sensibilizzazione, anche nelle diverse lingue locali perché «Tutti devono sapere e capire».
Il Mozambico ha 34 milioni di abitanti e 15 neurologi. La prevalenza delle sole forme convulsive di epilessia supera il 2%, lo stroke è la seconda causa di morte. L’aspettativa di vita è di 57,7 anni con un tasso di mortalità tra i più alti al mondo. Il 96% delle prestazioni sanitarie viene erogato fuori dagli ospedali e sono frequenti le interruzioni nelle forniture dei farmaci antiepilettici, costosissimi. Il 60% della popolazione vive in aree rurali.
Opera in questo problematico contesto il programma “FM – DREAM” attivo dal 2020, ora anche in Mozambico, oltre che in Malawi, Repubblica Centrafricana e da poco nella Repubblica Democratica del Congo. In quest’ultima missione, è proseguito il lavoro sul campo avviato negli anni scorsi. A Beira e a Sofala si sono tenuti corsi per 113 operatori sanitari locali, di cui 7 medici, una sessantina di tecnici di medicina (figure non laureate che eseguono la stragrande maggioranza delle prestazioni che in Italia sono praticate da medici), e oltre 50 tra infermiere e community healthworker.
Tre neurologi italiani del progetto hanno affiancato il personale locale nelle visite dei pazienti, insegnando la metodologia di raccolta dell’anamnesi, l’impiego del software DREAM e della piattaforma GHT per i teleconsulti. Tali attività di task sharing – task shifting sono state replicate anche a Mangunde dove sono seguiti numerosi malati, un’area molto rurale che sta attraversando un periodo particolarmente critico come anche tanta parte del paese.

Due degli oltre 40 tecnici di medicina in formazione raccontano che, prima del progetto, avevano ricevuto appena una lezione sull’epilessia. Riconoscono che l’epilessia non è una malattia mentale e non è contagiosa, ma aggiungono: «Tutti pensano sia contagiosa, che sia una malattia spirituale (mediata da spiriti ndr.), la gente fugge». C’è una grande sete di conoscenza in questi operatori e tra le funzioni delle nostre missioni neuro-africane vi è anche quella di essere ponte tra questo sapere sospeso, tra il già e il non ancora, condizione che richiede un accompagnamento per una progressiva acquisizione di conoscenza, competenze e consapevolezza, ingredienti del capacity building.
L’ultima tappa della missione è stata a Maputo, la capitale. Qui il programma formativo, promosso anche attraverso accordi col Governo, ha raggiunto un notevole obiettivo grazie al coinvolgimento costante e modulare dei clinici locali, approccio che è tra gli elementi cardine del progetto. Grazie a tale approccio alcuni operatori locali, sotto la supervisione degli specialisti italiani, hanno potuto svolgere per la prima volta una parte della formazione su epilessia, neurologia e primary care ai loro colleghi. Un traguardo incoraggiante in un paese dove il diritto alla salute diventa giustizia sociale e contribuisce così alla pace, conquistata nel 1992 dopo 17 anni di guerra civile.
Il progetto continua, saldamente radicato in quei valori di “Solidarietà, Uguaglianza, Sostenibilità” che sono stati anche il focus del G20 dello scorso novembre tenutosi – per la prima volta – in Africa.
Dobbiamo diventare promotori di speranza attraverso una cultura operativa basata su formazione, cure di eccellenza, costruzione di reti, ascolto e attenzione personali verso questi malati, uno-a-uno: Fondazione Mariani e DREAM continuano a parlare all’unisono.
Si ringrazia per il report il dr. Massimo Leone della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta di Milano
